Vorrei sottolineare un aspetto della realtà, della percezione e della manifestazione dell’essere umano che chiama in causa la nostra natura più profonda e più vera, al di là di ogni apparenza e di ogni trucco mistificatorio e mimetizzante. Una dimensione difficile – se non impossibile – da nascondere per intero e che caratterizza e condiziona inevitabilmente il nostro e altrui vissuto che ha una forte implicazione in quello siamo, diciamo, facciamo.  Una chiave di lettura che non ha il credito e l’attenzione che meriterebbe, che rivela molto di più di quanto potremmo credere e pensare. Questa parte profonda di sé parla inequivocabilmente del grado di maturità, di equilibrio, di saggezza e, quindi, di armonia somatica, che si è raggiunto lungo il corso dell’esistenza ed è la misura della nostra personale evoluzione.

Il vissuto, ciò che caratterizza l’esperienza di vita, se non favorisce questo processo è causa di molte distorsioni e sofferenza e la persona non può che manifestare “esternamente” il “mondo” che si porta dentro. Insomma, ci troviamo a fare i conti con un processo occulto, minato alle radici, e per il quale non vi è ancora considerazione, se non in termini personali. Quella parte di sé, triste, arrabbiata, offesa, trova particolare manifestazione nello sguardo (ricordate… gl’occhi come specchio dell’anima), nell’espressione del viso, nel lessico (nella forma e nei contenuti), e soprattutto per tramite del corpo, sia per il suo stato fisico che come modalità simbolica di conflitto (da qui la psicosomatica). Non tenerne conto è una riduzione e una ingenuità, ma anche una questione con la quale, prima o poi, ci si trova, e ci si è sempre trovati, a farne i conti.

Per decodificare e considerare questo aspetto distorsivo e fuorviante della personalità, centrale per la propria salute e per il bene stesso dell’umanità, è necessario, prima di tutto, riconoscerla in sé stessi (la famosa “presa”, o “risveglio”, di coscienza). Unica condizione per intraprendere un viaggio evolutivo, risanatore, che ridefinisca il senso stesso della propria esistenza, sviluppi la necessaria consapevolezza e responsabilità, e la liberi dal bisogno/necessità di dover scaricare la propria rabbia, la propria paura, il proprio egoismo, attraverso il giudizio e la discriminazione.

Quello che sta succedendo non si riduce quindi solo ad una questione di virus, vaccino, green pass, pro o contro… aspetti contingenti che hanno sicuramente un impatto importante nella vita delle persone e precise responsabilità che occorre indagare e chiarire. Ma sono, soprattutto, l’epilogo di un male profondo che coinvolge l’animo umano e che ci ha portato alla realtà in cui viviamo, più vicini all’estinzione che alla redenzione. In questa alienazione, nel tradimento delle leggi costitutive e ambientali, nel mancato sviluppo di una personalità capace di manifestare amore e tolleranza, troviamo la spiegazione del mondo di oggi, i motivi di tanta e tale confusione, di tanta e tale disperazione e conflittualità.

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LA VERA AUTORITÀ

In questa civiltà malata, il grado di coscienza, di maturità, di un essere umano, non è proporzionale al suo ruolo sociale o politico, non si misura dal suo titolo di studio o dal suo successo mediatico/editoriale, men che meno dal suo status economico. 

Si misura piuttosto dal calore delle parole, dal mostrare di avere a cuore la vita, dalla capacità di saper favorire la crescita, la pace, la conciliazione, nell’interesse e per il bene di tutti. QUESTA È LA VERA AUTORITÀ! Questa è la sfida per il futuro. Di questi uomini, di queste donne, di questa autorità, ha bisogno il mondo intero. 

Arroganza e presunzione sono sempre – dico sempre – riconducibili al vissuto della persona, al suo mancato sviluppo in termini di saggezza ed equilibrio interiore, che si tinga di rosso, di nero o di bianco. Poco importa che il loro argomentare si ammanti di logiche ideologiche, di pretestuose legittimazioni o del vanto del consenso… Se si è “malati” nell’animo non si farà altro che alimentare lo stesso male nell’animo altrui… e forse, senza nemmeno rendersene conto.  

Corrado Ceschinelli