La mia amica Camilla è una persona di grande sensibilità e capace di acute osservazioni. Ciò che anima la sua presenza è sicuramente quel filo conduttore che guarda alla vita con la curiosità e la riflessione necessarie per andare verso quella libertà che consente una visione più concreta della realtà. Per darvi un’idea vi riporto integralmente questa sua testimonianza: “Spesso approfitto del viaggio sui mezzi pubblici per controllare sul cellulare la mia posta, i messaggi sui social e altre opzioni, considerato che ho poco tempo a mia disposizione, e cerco di ottimizzarlo, per guadagnarne un po’. Quando alzo lo sguardo, incontro un panorama terribile di cui anch’io sono parte: gente totalmente immersa nei loro smartphone, da non accorgersi più di quanto accade intorno. Non colgono la richiesta di una donna in difficoltà che ha bisogno di sedersi, il coraggio di un sorriso amichevole, la vetrina di un nuovo negozio. Solo tra i bambini, i vecchi e i ladri trovo occhi ancora lucidi, immersi nel reale, o tra qualche straniero, perché il fenomeno della dipendenza da smartphone è forte soprattutto in Italia e meno all’estero, soprattutto nei paesi dove si è abituati a socializzare di più. Ho deciso che smetterò di usare il cellulare quando sono sui mezzi pubblici o in compagnia di altre persone. Non voglio più essere con il corpo da una parte e con la mente dall’altra. Forse perderò del tempo, ma non importa. Voglio di nuovo avere lo “sguardo di chi si accorge” di ciò che lo circonda e non di chi si perde altrove”. Mentre leggevo questo suo post, mi trovavo in un bar, e alzando gli occhi intorno a me, ne ebbi conferma. Persone sedute allo stesso tavolo: amici, coppie, bambini, tutti alle prese con il telefonino. Credo sia sotto gli occhi di tutti, e forse – come racconta Camilla – in qualche modo ne siamo tutti vittime. Ma, a mio avviso, non credo che questo sia un danno o un pericolo in sé. E non penso nemmeno che sia l’unica distorsione che ci allontana dalla nostra natura, o che la offende oltremodo. Credo che, di fondo, ci sia un errore generalizzato di visione/percezione della vita, che si ripercuote in ogni ambito, turbando il nostro personale equilibrio e la nostra vita di relazione. Un errore che si è fatto cultura, educazione, credenza e convinzione, plasmando le nostre menti, la nostra coscienza e diventando poi la norma del vivere. Tutto ciò che ci circonda è influenzato da questo condizionamento, e tutto ciò che ci accade è in stretta relazione con la nostra natura e la realtà che viviamo. Come a dire, e lo abbiamo detto più volte, che la sofferenza e le difficoltà non sono nient’altro che la risultante di questa distanza, di questa offesa, ma sono anche un’opportunità di ravvedimento e di correzione verso una verità incontestabile. Quindi, lungi da me il proposito di demonizzare l’era dei telefonini in sé, sono piuttosto un ulteriore occasione per una riflessione molto più larga, per arrivare al nocciolo della questione e cioè rivedere il senso stesso dell’esistenza e recuperare quella consapevolezza necessaria al destino delle nostre vite, dell’umanità e del mondo intero. La sofferenza e la violenza che la cultura degli uomini è stata capace, ed è capace, di generare ha quindi ragioni e radici profonde, ben al di la delle nuove forme di alienazione. C’è da chiedersi comunque, con una certa preoccupazione, che ne sarà del nostro sistema nervoso e delle nostre relazioni future, vista l’esagerata dominanza del rapporto solitario e ossessivo con lo smartphone. Non che la televisione non abbia fatto e non faccia i suoi danni; non che la cultura e l’educazione siano da meno, ma qui c’è qualcosa, a mio avviso, di ancora più preoccupante. Mi riferisco, in particolare, a una forma di dipendenza e di lettura della realtà che ci isola e ci separa ancor di più dagli altri, che non è indifferente allo sviluppo neurofisiologico del cervello. Considerando che è in quest’organo che si pensa, si percepisce e si interpreta la realtà, ed è ancora in quest’organo che si attiva il processo di riflessione e di consapevolezza, mi chiedo che futuro ci aspetti da una mente lasciata a questo tipo di influenza e suggestione. Considerando che prendere coscienza, uscire dalle proprie ferite e da un’influenza ambientale così generalizzata, richiede intuizione, conoscenza, coraggio, e un certo tipo di “lavoro”, sarà interessante vedere quanto, e come, questo nuovo corso della storia complicherà le cose, e a quali conseguenze andremo incontro. Occorre aggiungere che questa è senz’altro un’epoca di risveglio esistenziale, come testimonia la riflessione di Camilla, quella che qui stiamo facendo e tutto un fermento scientifico e spirituale intorno alla vita. La partita è sicuramente aperta! C’è una cosa nel proposito di Camilla che mi è piaciuta in modo particolare, e che credo sia la via della risoluzione nonché la direzione verso il bene. Il fatto di “incarnare” il proposito. Per capirci meglio: quando elaboriamo una riflessione e la trasformiamo in azione, non solo stiamo passando dalla teoria alla pratica, ma creiamo le basi e i presupposti per un cambiamento personale e sociale. Non è cosa da poco! Questo è l’unico argine alla perdizione e al declino delle nostre vite e, se vogliamo, dell’intera umanità, poiché ognuno di noi ne è protagonista. In questo ravvedimento, in questa consapevolezza, anche il “telefonino”, come qualsiasi altra cosa, avrà lo spazio che merita, nell’evoluzione dell’essere umano.