Ognuno di noi è la risultante causale dei suoi fattori di condizionamento (epoca, paese, cultura, famiglia, ecc.) e il suo modo di stare al mondo (visione, pensiero, azione e reazione) non è altro che la somma delle esperienze, dei modelli e delle testimonianze che ha incontrato. Questo processo, chiamato bio-cognizione, misura l’influenza dell’ambiente in relazione alla qualità e alla durata della vita, ed è rilevante che oggi disponiamo di studi epidemiologici di monitoraggio delle popolazioni più longeve, che ci dicono quanto la nostra civiltà si sia allontanata dai principi fondamentali dell’esistenza, sia in termini comportamentali che di pensiero, con le conseguenze che abbiamo modo di osservare tutti i giorni, senza però riflettere sul loro come e perché.
Se gli uomini fossero “nella vita”, se si considerasse e conservasse il principio vitale e spirituale, in fede alla nostra coscienza e ai nostri bisogni, l’amore, il rispetto e la responsabilità, sarebbero nella cultura, nell’economia e nell’educazione del vivere. Si avrebbe riguardo di ciò che si mangia e di come si vive; le nostre relazioni risulterebbero da altri presupposti, così come l’ambiente e gli animali godrebbero del nostro rispetto e della nostra protezione. Se si conservasse questo stato, se si praticasse questa via, la salute e il benessere sarebbero la regola, e il trascorrere del tempo nient’altro che un’occasione continua per accrescere e amplificare quella saggezza necessaria a farci percepire la nostra unione con l’Universo di cui facciamo parte.
Nel mio lavoro incontro questa verità tutti i santi giorni, proprio perché la sofferenza, le malattie, il malessere psicofisico, originano da questa alienazione, che ormai il nostro cervello registra come “normalità” a causa di quella “bio-cognizione” distorta che ho citato sopra, nella quale, purtroppo, si è formata la nostra visione ed esperienza.
In questo processo, in tutte le sue forme/culture/tradizioni, ci sono le chiavi e le spiegazioni di tutti i drammi dell’umanità, e non ci saranno soluzioni di sorta – ideologie, religioni, leggi, medicine, vaccini o compensazioni – se non fare i conti con questa verità che, nella crisi che sta attraversando il mondo, trova una sua ragione d’essere. Il Coronavirus, che si voglia o meno, oltre il dramma dei decessi, al di là delle disposizioni precauzionali, nasconde questa verità, e cioè una fragilità immunologica ed esistenziale, come conseguenza delle offese provocate dal nostro modo insano di vivere e di pensare la vita.
Come se ne viene fuori? Bella domanda! Non certo con le logiche del sistema, che non fa altro che riprodurre sé stesso e la sua aberrazione (la via della bio-cognizione).
È la sensibilità e la coscienza di ognuno che entra in gioco: a causa del limite stesso delle illusioni, a volte è necessario toccare il fondo per decidere di ripartire in modo diverso, sempre che si riesca a passare indenni dalle “cure” previste dal sistema. L’illusione non può certo perseverare in eterno; dura solo fino al raggiungimento del limite di sopportazione.
Questa regola vale per qualsiasi ambito dell’esistenza, per le malattie organiche come per quelle mentali, per le questioni relazionali come per le tensioni sociali. È la nostra ingenua ignoranza che ci porta a dire:” Ma come? stavo bene fino a ieri, andava tutto bene, non avevo niente, com’è possibile?” Per le stesse ragioni, è inimmaginabile quali benefici si possono incontrare cambiando la visione delle cose, capendo le ragioni dei nostri tormenti, restituendo al nostro nutrimento la sua valenza funzionale, e riprendendo il cammino verso quella saggezza animica che abbiamo coperto in nome di un falso piacere. Niente di miracoloso quindi: si tratta semplicemente di riportare linfa e luce nelle nostre esistenze, sapendo che il primo passo non ci porta dove vogliamo, ma ci toglie da dove siamo finiti.