Parto da un’affermazione di Umberto Galimberti, filosofo, sociologo, scrittore e accademico d’Italia che stimo molto. In un’intervista nella quale gli veniva chiesto cosa cambierà dopo il Coronavirus, la sua risposta è stata: “Niente!”. Ritengo questa risposta molto pertinente e veritiera, più di quanto si possa credere. Rispetto alle vicende e al destino del genere umano, se non sono servite le grandi tragedie della storia, se non bastano i riscontri attuali sulle condizioni di salute, le difficoltà di relazione, le tensioni sociali e tutto il resto, se tutto questo non chiama in causa la nostra coscienza e la nostra intelligenza, vuol dire che c’è qualcosa che ci fa accettare ciò che accettabile non sarebbe se avessimo veramente a cuore la vita e il bene di tutti. Questo qualcosa è implicito nella nostra natura, soprattutto nel funzionamento della mente umana. Il cervello, inteso come organo depositario dell’esperienza, della memoria, dell’apprendimento, diventa, di rimando, strumento di interpretazione e decodifica della realtà, per come è in grado di percepirla e interpretarla. Pensieri, credenze e opinioni, così come emozioni, competenze e comportamenti, sono tutti ascrivibili all’esperienza e all’apprendimento. Se tale esperienza e apprendimento si sviluppa su un condizionamento fuorviante, su un’immagine artefatta della vita, è molto difficile che il cervello, da solo, ne riconosca l’equivoco e il paradosso. Nemmeno la malattia, come logica conseguenza di questa offesa, sarà sufficiente ad aprirci gli occhi, proprio perché il cervello, non contemplando questa chiave di lettura, usa le spiegazioni che gli sono possibili. Se fossimo cresciuti nella conoscenza e nel rispetto delle leggi naturali, con riguardo e rispetto per la vita, con un’educazione all’autonomia e alla libertà, la sofferenza automaticamente passerebbe dalle nostre considerazioni, e chiamerebbe in causa le nostre decisioni e la nostra responsabilità. Invece il mondo intorno a noi, così com’è, ci porta in tutt’altra direzione, tanto da farci immaginare e pensare tutt’altro sulla vita e sul nostro destino e, da quella distanza, è molto difficile immaginare qualcosa di diverso da quello che ci hanno fatto credere, e che continuano a farci credere.
È un circolo vizioso che si nutre dal suo interno, sia attraverso un argomentare intellettualmente carico di presunzione egoica o ideologica (la famosa babele delle idee), sia facendo leva sullo stato di fragilità emotiva e di insoddisfazione profonda dei propri bisogni e desideri, ormai rimossi e dimenticati. Bisogni e desideri che la società dei consumi, la pubblicità del superfluo, conoscono molto bene, per alimentare illusioni e compensazioni. Il sistema è così radicato nella nostra mente che non teme affatto le digressioni, i voli immaginari, le ribellioni e le contestazioni, perché, di fatto, l’imprinting rimane sostanzialmente quello che il sistema ha ideato e organizzato. Quindi, per liberarsene occorre riconoscere questa subdola trappola nella quale anche il cambiamento, dichiarato o auspicato, di fatto, mantiene lo stato di sudditanza nel quale ci siamo abituati a stare.
Rammento il fallimento dell’ideologia degli anni settanta, che riteneva potesse bastare aggrapparsi a un’idea di giustizia ed equità per cambiare il mondo, ignorando completamente i tormenti personali di ogni singolo individuo, vera fonte di qualsiasi conflitto.
La vita è un percorso intimo, individuale, verso questa verità, e per intraprendere questo viaggio, dobbiamo attraversare molte insidie, illusioni e sofferenze, e la storia risulterà sempre e solo dalla coscienza individuale.
Ha ragione Galimberti! Perché per raggiungere questa maturità, questa consapevolezza, che è il vero fine della vita, si dovrebbe raccontare giorno per giorno, incarnando lo sviluppo della coscienza personale nell’esperienza quotidiana, come principio di ogni cultura e di ogni educazione. È pur vero che qualcosa si muove, ma adesso, ora, non possiamo che fare i conti con la coscienza che ci ritroviamo.
Pensare che una situazione difficile, questa che stiamo vivendo come tante altre nella storia, seppur portatrice occulta di una problematica, possa dare una spallata e resettare la mente contaminata e inconsapevole di gran parte dell’umanità, è veramente un peccato di ingenuità e una grande approssimazione, che riflette la nostra stessa ingenuità e approssimazione. Naturalmente – è importante dirlo – tutto questo non è né giudicabile né condannabile, se non altro perché l’essere umano è così da millenni, e riconoscere un processo che potrebbe cambiare il destino di tutti noi, non è cosa da poco. Quando lo si fa proprio, credetemi, ci si può permettere di vivere riducendo notevolmente il peso e l’influenza esterna. Questo è il momento e la condizione in cui si può fare molto per sé stessi, e anche per gli altri.