Qualche settimana fa, in una meravigliosa e affollata conferenza, a Cittadella di Padova, nel descrivere chi ero e cosa facevo, dicevo che faccio “psico-filosofia”, perché la soluzione, la salvezza, dai nostri mali, può avvenire solo riconoscendo e risolvendo i nostri impedimenti emozionali,… 

cittadellama anche ricostruendo la visione stessa dell’esistenza, nel contesto dell’Energia e dell’Amore Universale. Lavorare solo sulla dimensione “psichica”, o solo sull’altra “filosofica”, può avere dei grandi limiti: nel primo caso può aiutare – è vero – a risolvere un conflitto o una dinamica legata al proprio vissuto ma, di fondo, può rimanere viva una certa fragilità esistenziale. Nel secondo caso, si rischia di intellettualizzare l’esistenza, mantenendo in vita una fragilità emozionale che, di fatto, ci espone all’incompiutezza e all’infelicità di vivere, proprio perché abbiamo dimenticato il cuore o, se preferite, l’anima. Che l’esistenza e il mondo stesso, siano in uno stato di sofferenza, non credo ci sia bisogno di grandi convincimenti o di particolari dimostrazioni, per rendersene conto. La difficoltà, semmai, è capire le ragioni o immaginare come venirne fuori. Infatti, l’ostacolo maggiore è proprio nella nostra attuale “psico-filosofia”, e cioè nel modo con il quale reagiamo, ci comportiamo e guardiamo alla vita. Ognuno di noi lo fa sulla base dell’esperienza e delle informazioni/spiegazioni che ha ricevuto. È un processo che accade lungo il corso degli anni, ed è caratterizzato da ciò che s’incontra nella propria esistenza: famiglia, scuola, cultura, ambiente… in una parola, dall’educazione vissuta e ricevuta. Con queste esperienze, con queste istruzioni, con questi programmi, si affronta la vita. Con la parola “psico” intendo proprio il vissuto emozionale, mentre, con la parola “filosofia”, tutto il sapere che descrive l’esistenza su un piano spirituale e, quindi, universale. Tutto – dico, tutto – funziona secondo un disegno, un progetto, un fine, che noi avremmo il compito e l’interesse di intendere e rispettare, non certo, di offendere o negare! Tutto – e ripeto, tutto – è animato da un innato, quanto spontaneo, impulso d’Amore che tende costantemente a manifestare il potenziale energetico di ogni organismo. Persino le cose create dall’uomo hanno un potenziale che si può sfruttare solo a condizioni di conoscerne le caratteristiche e le modalità di funzionamento e proprio per questo esiste il “libretto delle istruzioni”. Basterebbe questa semplice verità per interessarsi alla nostra sofferenza e alle nostre difficoltà sociali da un altro punto di vista; basterebbe questa semplice constatazione per interrogarsi su cosa stiamo sbagliando tanto da provocare tutto questo male. Purtroppo questo errore di interpretazione, arbitrario e innaturale, si mantiene e si riproduce in ogni dove e in ogni ambito, plasma le coscienze (psiche e filosofia, per dirla alla nostra maniera), compromette lo sviluppo della personalità, della salute e della felicità, condiziona idee e comportamenti, favorisce egoismi e personalismi, pregiudizi e discriminazioni. Ho già scritto la volta scorsa dei tre livelli di coscienza, e di come il primo livello, del tutto casuale e inconsapevole, influenzi la “psiche” (o mente) al punto tale da generare una visione “filosofica” della vita da farci credere che le malattie e le difficoltà, di ogni ordine e grado, siano fenomeni normali ascrivibili alla natura umana. La vita accade e risulta a cominciare da ciò che pensiamo e da come ci comportiamo, in un verso o nell’altro, e non mi pare che, per questo verso (così come stiamo facendo), funzioni un granché. È così vero che esiste un altro “verso” che sicuramente ognuno di noi lo ha sperimentato, probabilmente senza rendersene nemmeno conto, senza capire e far tesoro di cosa aveva veramente funzionato quella volta… quella volta che abbiamo pensato che fosse solo coincidenza, fortuna o destino. Magari invece, quella volta, abbiamo saputo sdrammatizzare, perdonare o sorridere; magari abbiamo solo desiderato così fortemente, con l’anima e il cuore, il realizzarsi di un sogno o di un obiettivo; o magari abbiamo avuto semplicemente più attenzione per il nostro stile di vita. Ecco, capire questo, rendersene conto, interessarsi al “libretto delle istruzioni”, a come funzionano effettivamente le cose, è l’atto della consapevolezza, è l’inizio della beatitudine. Sarebbe tutto sommato semplice se non si mettesse di mezzo, come dicevo, la mente, tra false credenze e false convinzioni, tra paure e insicurezze e, più in generale, una cultura del vivere che altro non è che la “psico-filosofia” della maledizione e della perdizione.