Ricordo con piacere che, diversi anni fa, il mio amico Romeo Compostella, mi diceva spesso: “Se sei felice, Corrado, non ti fa male niente”. E poi aggiungeva: “Non esistono malattie, ma esistono persone malate! Ogni evento che minaccia la salute, genera una risposta mediata sincronicamente su tre livelli: anima, mente e corpo, secondo un programma di sopravvivenza quanto mai sensato, codificato e congenito, nella memoria cellulare di ogni persona”. Tengo a precisare che Romeo Compostella, è medico, pediatra, psicoterapeuta sistemico, esperto in medicina bio-emozionale e in medicina Ayurvedica, e quindi, quanto mai autorizzato ad affermare certe cose.
A quei tempi non capivo bene a quale felicità alludesse il mio amico e ribadivo che, in Trentino, c’erano undicimila diabetici che, sicuramente, non erano tutti tristi mentre mangiavano una montagna di zuccheri. In realtà avevamo ragione tutti e due. La felicità di cui parlava Romeo, naturalmente, era uno stato d’animo vitale, e non certo legata al piacere di consumare quel pasto, mentre la mia affermazione metteva l’accento sul fatto che, indipendentemente dal proprio umore, le esagerazioni che offendono oltremodo le leggi della nostra costituzione e del nostro metabolismo, prima o poi, ci presentano il conto. Insomma, la verità stava nel mezzo, nel senso che andavano considerate entrambe le nostre opinioni. È risaputo che il “modus vivendi” standard della società di oggi, è fortemente inappropriato e offensivo, e mette in moto una serie di conflitti profondamente compromettenti, se non addirittura debilitanti, dando luogo a una miriade di disturbi funzionali e malattie, per le quali non possiamo pensare che basti, da sola, una buona compensazione umorale. È anche vero che per raggiungere quello stato interiore, proprio perché si passa da una maggiore consapevolezza di sé, è molto difficile non “tirarsi dietro” anche una maggiore responsabilità verso uno stile di vita a tutela del proprio corpo e della propria salute. Concentrarsi solamente sugli aspetti nutrizionali, per quanto possano essere importanti e rispettosi, si rischia di sviluppare un atteggiamento ossessivo, maniacale, che non porta sicuramente ad uno stato di benessere a tutto campo. Anzi, è probabile che, nascondendo o cercando di compensare una certa fragilità esistenziale, si produca ancora più ansia e infelicità, con una chiara ricaduta sulla vitalità generale, proprio per quella relazione che ci rammenta Romeo, tra “anima, cervello e corpo”. Ritengo quindi molto importante, in base alla mia esperienza e a quella di tante persone che ho avuto modo di incontrare, seguire e aiutare, che occorra preoccuparsi, in primis, di favorire una maggiore consapevolezza di sé. Il guadagno che ne viene in termini di equilibrio, gioia e quiete interiore, non riguarda solo la dimensione della salute fisica e mentale, ma riguarda un cammino/percorso finalizzato ad espandere la nostra coscienza. La cosa interessante da comprendere è che non è un percorso obbligatorio, ma obbligato, nel senso che, se non lo percorriamo, i messaggi di errore che si manifesteranno in noi saranno ripetuti e costanti, fintanto che non decideremo di cambiare. Purtroppo spesso chiamiamo questo processo “destino avverso”, invece che “amorevole aiuto”.
La soluzione quindi è in un processo che riguarda la nostra percezione, che ha bisogno di essere ridefinito dentro un orizzonte più ampio di quello che abbiamo osservato finora. Dentro questo processo le cose si mettono a posto da sole, un po’ alla volta, senza estremismi da una parte o qualunquismi dall’altra. È questa “la via di mezzo” che propongo, come a dire: cerca di fare tutto quello che ti rende felice, ma in una visione consapevole della realtà e dei meccanismi della mente. Questa felicità deve essere il nostro obiettivo principale, ed è una felicità che si conquista nel nostro interiore, con un lavoro costante di smontaggio delle paure, delle rabbie e delle colpe, indotte da un vissuto e da una cultura che nega ogni verità. Paure e colpe che non hanno niente a che vedere con il nostro vero valore, la nostra bellezza e con il viaggio che siamo chiamati a fare. Detta in altri termini, la via di mezzo è un’azione intenzionale ma spontanea, volta a trovare un equilibrio benigno. Chiudo citando due grandi. Buddha, che definiva la via di mezzo come “l’eseguire o adottare atteggiamenti che promuovono la felicità propria o altrui” e Aristotele, che la considerava una “media aurea”, in cui la virtù si trova nel mezzo e il vizio agli estremi. Sia la civiltà orientale che quella occidentale, concordano su un principio di base: se si vuole condurre una vita etica e felice, è necessario perseguire e permanere sulla “via di mezzo”. I centenari in salute ne sono la riprova inopinabile.