Per capire di cosa sto parlando dobbiamo partire da un assunto: ogni cosa che vive tende all’equilibrio, alla realizzazione del suo progetto, all’affermazione della vita. Non potrebbe essere diversamente. L’energia che pervade il nostro pianeta è il motore della creazione, e noi ne facciamo indissolubilmente parte. Le condizioni ambientali fanno parte delle variabili che entrano nel processo, e possono essere a favore o in opposizione, favorire la vita o essere contrarie ad essa. La salute, il benessere, la gioia, sono il riscontro della funzionalità, o quantomeno la conferma che le condizioni di vita sono sopportabili e gestibili dal sistema e dal principio affermativo e conservativo. Allo stesso modo la sofferenza, la malattia, spesso, molto spesso, sono la risultante di un conflitto, o di un’interferenza, oltre le leggi di natura. Al genere umano tocca il “difficile” compito di rendersene conto e di adoperarsi per fare in modo che le sue scelte, i suoi comportamenti, il suo essere energetico, attraverso pensieri, emozioni, stati d’animo, siano il più possibile coerenti, nel rispetto delle leggi e delle prerogative che lo riguardano. Non ci vuole molto a rendersi conto che avremmo tutto l’interesse a conoscere queste leggi, che dovremmo avere riguardo di come mangiamo, di come pensiamo, dell’ambiente che ci circonda per appartenenza, perché i suoi equilibri contribuiscono ai nostri stessi equilibri. La presa di coscienza di questa indiscutibile e incontestabile verità è la partita vera della “civiltà”. Se non è a rischio la sopravvivenza del pianeta lo è certamente quella del genere umano. Per capirci, è possibile che la degenerazione della biosfera non comprometta la terra, ma probabilmente potrebbero crearsi delle condizioni critiche per alcune forma di vita, uomini in testa. Senza andare troppo lontano, basta guardare alle condizioni di salute per rendersi conto di come stanno le cose, e quanto ci siamo allontanati dall’assunto di cui dicevamo. Qui entra in gioco l’educazione. Non quella che siamo soliti intendere; quella che passa dalla famiglia, dalla scuola e dalla cultura della società, che ha l’unico scopo di farci adattare alle sue regole e hai suoi deliri, che hanno poco a che vedere con le leggi della realtà. Quella la chiamo “educazione di sistema”, anche se sarebbe più corretto chiamarla condizionamento, indottrinamento, plagio della verità. In questo si presta bene il nostro cervello, che registra qualsiasi informazione senza essere in grado di discriminare tra vero e falso. Insomma, un’educazione funzionale al sistema, che non è molto dissimile da qualsiasi forma di ammaestramento. È interessante invece il significato originario, etimologico della parola educazione, dal verbo “educĕre” (“tirar fuori” o meglio “tirar fuori ciò che sta dentro”) perché, in un colpo solo, ci riporta al tema di fondo di cui stiamo parlando. L’educazione dovrebbe contribuire a far recuperare e conservare, le naturali potenzialità di ognuno, le proprie capacità di guarigione e conservazione dello stato vitale. Dovrebbe animare la volontà di cambiamento per riprendere il proprio cammino evolutivo, per portare a maturazione la propria coscienza, e con essa la visione della vita stessa. L’educazione dovrebbe mostrare e raccontare la vita, essere l’asse portante dell’aiuto: dovrebbe favorire la crescita, l’affermazione di sé, della propria autenticità. Dovrebbe contribuire alla conoscenza delle leggi, alla libertà, alla responsabilità. Dovrebbe essere fondamento della cultura del vivere, diventando la “medicina” della risoluzione. Dovrebbe essere principio della terapia, della cura, ma potrei aggiungere, della famiglia, della scuola, della cultura, della società nel suo insieme. Allora avremmo fatto il passo evolutivo necessario verso la luce.