La cronaca di questi giorni e davvero angosciante! Che ci piaccia o no, l’irreparabile è già accaduto, e ciò che emerge è solo il momento ultimo di dinamiche complesse, che hanno già fatto il loro corso e compiuto il loro danno. Ciò non significa che dobbiamo arrenderci. Tutt’altro! Significa interpretare il fenomeno nella sua totalità, invece che limitarsi a demonizzare queste barbarie. Vedere il problema nel suo intero significa attivarsi seriamente, senza trascurare nulla, neanche il più piccolo particolare.

parigiNell’immediato, con strumenti, strategie e competenze mirate, in grado di prevedere e prevenire ciò che ipoteticamente può accadere, attivando i protocolli necessari per salvare più vite umane possibili. Ma è nel lungo periodo che deve essere fatto il lavoro più grande, cominciando a intervenire nelle dinamiche più profonde della vita e della personalità, perché sono lì le vere cause occulte e legittimate dall’ordine costituito. Principi, testimonianze, esempi, ma anche assenze che passano e operano, nel silenzio assoluto, attraverso la famiglia, la scuola, il lavoro… insinuandosi nella politica e nella società intera. C’è molto poco di quello che servirebbe per sviluppare responsabilità, autonomia, amore, empatia… ovvero tutti i requisiti per costruire l’equilibrio personale e la pace fra gli uomini. Pensate veramente che basti un’esternazione o un richiamo al buon senso per contenere la rabbia, la paura, la disperazione che ci portiamo dentro? Pensate veramente che basti spaventare ancor di più, con più determinazione o, addirittura, con la pena di morte? È solo una momentanea illusione che tenta di rispondere alla paura che la violenza ha generato. Nell’abbandono, nelle piccole/grandi violenze quotidiane, negli esempi e nelle testimonianze offensive, nelle ingiustizie e nel disagio personale, ci sono tutte le ragioni del mondo di ieri, del mondo di oggi, e di quello di domani, se non cominciamo a ragionare e a creare i presupposti correttivi adeguati.

Qui non si tratta di giustificare la violenza esercitata con la violenza subita, o di riportare tutto a un’infanzia tradita: questo è facile, lo possiamo dire tutti. Significa farsi carico, come dicevo “per intero”, di quello che è successo, perché solo così possiamo cominciare a lavorare per dare una prospettiva diversa e nuova al nostro futuro. Questa crisi altro non è che il segnale fisiologico di un vivere molto diverso da come dovrebbe essere la natura degli uomini. Come per la salute fisica, se non si interviene nelle cause che generano le malattie, non sarà certo con farmaci “coprenti” che potremmo porvi rimedio. Nell’immediato i farmaci possono essere utili, indispensabili, per certi versi, ma il lavoro in prospettiva, è di tipo educativo e culturale: deve recuperare la vocazione naturale alla salute, passando dalla conoscenza e dalla consapevolezza delle persone.

parigi1Non c’è prospettiva se, al peggiorare delle condizioni di vita, ci s’illude di dare qualità e durata alla nostra esistenza, cercando di contenere e curare gli effetti collaterali che quelle stesse condizioni provocano. Allo stesso modo occorre ragionare sulle conflittualità, individuali e sociali. È la cronaca stessa che ci racconta esattamente tutto questo: abbandono, orfanatrofio, insicurezza profonda, vita emarginata, voglia di sopravvivere, di affermarsi in qualche modo, di far sentire la propria voce, cercando disperatamente l’ideologia del riscatto. Qualcuno, qualcosa, che possa dare un senso alla disperazione del sentirsi nessuno. Non vedendo, non sperimentando, la dignità della propria vita, non si può certo vedere, pensare, alla dignità e al valore della vita degli altri. Se non si è imparato a rispettare se stessi, non è possibile rispettare gli altri, ma per rispettare se stessi, senza il bisogno di supporti tanto estremi quanto deviati, è necessario essere educati al bene. Potrà suonarvi strano, ma in queste condizioni, mi sembra tutto normale, inevitabile, direi. Il vero problema è che la politica, in quanto gestore della comunità, non si fa carico di intervenire in questa direzione, non si fa carico di quest’analisi e di queste considerazioni. Solo proclami di solidarietà, inutili dissensi, e tanto Ego, nei loro bla, bla, bla.

Certo non saranno queste mie considerazioni a modificare il quadro delle cose, specie a livello internazionale, ma penso che sia giusto riflettere su tutto questo, per non affidare alla paura il proprio consenso e, di conseguenza, il destino della propria vita. Nel lungo periodo, il lavoro tocca le coscienze di ognuno, affinché “ognuno” faccia la sua piccola-grande parte di amore e di bene, per l’umanità intera, non dimenticando che, ognuno di noi, “è” l’umanità!