Il grado di disumanizzazione della civiltà è molto difficile da riconoscere, perché ognuno vede ciò che può vedere e fa quello che può fare, pensandolo come la cosa più ovvia, giusta e normale. Ma se misuriamo la realtà, ipotizzando atteggiamenti e sentimenti quali la sensibilità, la disponibilità, la fiducia, l’empatia, il perdono, la solidarietà, la fratellanza, ecc. – tutti tratti dell’umana natura – ci rendiamo conto immediatamente che la situazione è, a dir poco, drammatica.

guerriero_della_luceNon è difficile, per chiunque, riconoscere i sentimenti di segno opposto che governano la nostra vita e la nostra contemporaneità come la paura, la rabbia, il rancore, la diffidenza, il pregiudizio, il tornaconto, ecc.

Ogni ambito è pervaso e influenzato da questi animi, da queste emozioni, e non può essere diverso, visto che tutto ciò che si crea e si caratterizza è un nostro prodotto, scaturito dal nostro essere, dal nostro sentire e dal nostro relazionarci.

Allo stesso modo se ipotizziamo la salute come condizione naturale ne avremmo d’avanzo per interrogarci sulle ragioni del nostro stato: vere e proprie epidemie, che non destano nessun sospetto, e quindi, ai più, risulta normale vivere e mangiare in un certo modo, avere dipendenze farmacologiche, morire trenta/quarant’anni prima del previsto. Ripeto ancora una volta, al punto da essere monotono: il dramma vero è non rendersene conto dando tutto per scontato. La qualità e la durata della nostra esistenza, le nostre relazioni, le istituzioni, la politica, la società nel suo insieme, risentono e risultano da tutto questo, non dai proclami, dagli editti, non dalle intenzioni, ma dal nostro grado personale di umanità, dalla nostra consapevolezza e dal nostro stile di vita. Si capisce facilmente dove stia il processo e quale sia il cambiamento che deve avvenire nelle coscienze di ognuno di noi. La buona notizia è che, essendo tale processo nella natura delle cose, è alla portata di tutti. La cattiva notizia sta, invece, nel fatto che rendersi conto di ciò è spesso di una difficoltà enorme, grazie all’indottrinamento che civiltà, educazione ed esperienze personali hanno immesso in noi malamente.

Oggi vi racconto una storia, la più recente in ordine di tempo, toccante sul piano umano ma significativa per evidenziare ancora una volta le contraddizioni di questo mondo, con la speranza che ognuno faccia le sue riflessioni, come è stato per me, per nutrire la propria coscienza e aumentare il proprio amore per la vita.

Alex (così chiamerò il mio piccolo amico) ha nove anni, ed è affetto da una neoplasia importante. Incontro i suoi genitori, perché la madre ha avvertito, quello che lei dice, un “impulso” a contattarmi. Mi raccontano la loro vicenda con una dignità insolita, intrisa di comprensibile disorientamento e preoccupazione, soprattutto per la sofferenza di Alex, ma ancor più sentono il bisogno di “capire” cosa sta succedendo e, soprattutto, se possono fare qualcosa per il loro bambino. Come spesso accade i percorsi oncologici non lasciano margine di cura e di interpretazione. Non è nemmeno la cosa che personalmente penso sia sbagliata in se. Ciò che meraviglia nella pratica medica di oggi – che ci porta a quanto detto sopra – è la ridotta sensibilità a percepire le implicazioni umane del caso. Tant’è che difronte alla domanda, innocente e angosciata, del bambino, se la cura avrebbe sconfitto il suo male, il medico a pensato bene di rispondere: “Non si può dire, seppur basse, ci sono delle probabilità che possa tornare”. Alex, i genitori, da allora vivono con questo pensiero, con questo tormento. Ma non solo. Fa specie il totale abbandono della famiglia. Non parlo di mancanza di professionalità o competenza medica, o dell’opportunità di avere un affiancamento psicologico d’ufficio. Parlo di quel sostegno amorevole che può venire solo dalla propria umanità e visione della vita, quel modo spontaneo ed empatico capace di accompagnare le persone verso il cambiamento necessario, sia nelle dinamiche che nei comportamenti favorendo il processo vero di guarigione. Con i genitori di Alex condivido queste considerazioni e riflessioni, e insieme decidiamo come fare per recuperare lo spirito e l’inquietudine di Alex. Lo incontro per la prima volta dieci giorni fa. Sono sorpreso dalla sua maturità e dalla sua dolcezza. Con lui gioco la carta della complicità e dell’immaginazione: esiste un segreto, tra me e lui, che devo mantenere tale. Cerco di fargli percepire l’esistenza della luce, dell’energia e gli spiego che le esperienze dolorose sono solo delle prove per diventare persone speciali nella vita. Poi, sempre coinvolgendolo attivamente, definiamo delle strategie a sostegno delle sue prossime battaglie. Alex, cambia atteggiamento, affronta con un altro stato d’animo il nuovo ciclo di chemio. Cominciamo una conversazione via whatsapp carica di affetto e di sostegno. Ieri sera, in una telefonata, a nove anni, è capace di dire: “Ho capito che questa malattia è venuta per insegnarmi tante cose, a mangiare meglio, a diventare più forte ma soprattutto mi ha dato la possibilità di incontrare una persona, un amico speciale, come te”. Con il cuore pieno di gratitudine e gli occhi bagnati dalle lacrime, l’ho salutato dicendogli: “Che la luce sia con te, piccolo/grande guerriero”.