Sono molto sorpreso che difronte a questa emergenza, causata dal nuovo Coronavirus, non si sia spesa una parola a favore delle proprie difese immunitarie. Eppure sia la declinazione clinica di questa pandemia (alla luce dei decessi che ha provocato) che la letteratura medico scientifica riguardante le infezioni, sono concordi sull’importanza di tenere vive, e attive, le nostre capacità di regolazione e di reazione. E il mio sconcerto nasce in considerazione del fatto che la prerogativa del nostro organismo è quella di mantenere la sua integrità vitale e, proprio per questa ragione e a questo scopo, è dotato di sistemi, organi, apparati, che si mobilitano in ragione di ogni variazione, minaccia o criticità.
Ognuno di noi viene in contatto ogni giorno con un numero enorme di virus e batteri dei quali solo una minoranza risulterà patogena, cioè in grado di penetrare all’interno del corpo e replicarsi. Non è un mistero che esistono persone che non si ammalano mai a fianco di altre che al primo freddo, invece, sviluppano i sintomi di un’infezione. Altrettanto noto è che l’inverno è il periodo dell’anno in cui le infezioni virali tendono a diffondersi di più, perché, con il freddo, la “capsula” protettiva, di cui il virus è rivestito, risulta più resistente, consentendogli di sopravvivere più a lungo.
Nel clima freddo, inoltre, la mucosa nasale, tra le prime barriere difensive del nostro organismo nei confronti di virus respiratori, risulta più disidratata e indebolita, favorendo così la proliferazione di agenti patogeni all’interno delle vie aeree superiori. Il fatto che uno stesso virus (o altro microrganismo) possa risultare completamente innocuo per qualcuno, mentre a qualcun altro possa addirittura dare esiti mortali, ci dovrebbe far riflettere sulla rilevanza del nostro stato e delle nostre difese. Stato e difese che chiamano in causa la nostra responsabilità, le nostre decisioni, i nostri comportamenti e, non di meno, i nostri umori e le nostre emozioni. Nel braccio di ferro tra un individuo e un microrganismo, infatti, si battono, da una parte la virulenza del microrganismo (cioè la sua intrinseca capacità di attaccarsi alle nostre cellule, sopravvivere, moltiplicarsi ed eludere le difese immunitarie) e dall’altra la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere e distruggere l’aggressore.
Dei due fattori, il più importante, quello sul quale abbiamo maggior possibilità d’intervento e margine discrezionale è, senza dubbio alcuno, il secondo. La disputa sull’importanza dei fattori esterni (virus, batteri, tossine, interferenze elettromagnetiche, ecc.) rispetto alle difese biologiche, risale a quasi due secoli fa, ed è il frutto dell’antagonismo tra due brillanti scienziati francesi: Louis Pasteur e Antoine Bechamp. Il primo attribuiva ai germi le cause delle malattie, il secondo sosteneva che i germi fossero presenti ovunque, anche dentro di noi, e che la capacità di sviluppare una malattia non dipendesse da loro ma dall’ambiente interno, dal “terreno” dell’individuo. Un terreno sano, e quindi ben protetto, impedirà la crescita inappropriata di microrganismi; un terreno indebolito, “esposto”, aprirà invece le porte a a qualsiasi attacco. Bechamp sosteneva che, per prevenire le malattie, non occorreva uccidere i microrganismi, ma “rafforzare” il nostro terreno, attraverso la dieta, il movimento, l’aria aperta e corrette pratiche igienistiche. Alla fine fu la visione di Pasteur che prese il sopravvento in ambito scientifico, fornendo le basi per la scoperta dei vaccini e degli antibiotici. Furono invece pressoché dimenticati Bechamp e la sua teoria del terreno favorevole o sfavorevole, per quanto oggi si sia compreso che, “riscoprirli”, non solo aiuterebbe a controllare le infezioni virali, ma sarebbe anche l’unica via che abbiamo per fronteggiare la pandemia silente di malattie croniche infiammatorie e degenerative – cardiovascolari, respiratorie, neurodegenerative, diabete e tumori – che miete ogni anno milioni di vittime in tutto il mondo, occidentale e non. Stiamo facendo di tutto per diventare sempre più deboli, sempre più esposti, meno protetti, dimenticando le nostre prerogative costituzionali, puntando tutto su una battaglia già persa in partenza. A chi giova tutto questo? Ai posteri l’ardua sentenza …