Diceva Jiddu Krishnamurti: “L’educazione non è solo acquisire competenze tecniche ma comprendere, con sensibilità e intelligenza, l’intero processo del vivere… per insegnare la totalità, la pienezza della vita”.
A meno che non pensiate che basti acquisire un titolo di studio, specializzarsi in qualcosa per imparare a stare al mondo, allora possiamo cercare di fare una riflessione che sia utile a tutti. Sgombriamo subito il campo da qualsiasi intenzione giudicante o colpevolizzante: non è il mio intento! Si tratta solo di capire che cosa sta succedendo veramente, e cosa possiamo fare per contribuire al miglioramento della nostra vita e del futuro della civiltà. Questo, peraltro, mi pare sia uno dei propositi cardine della scuola stessa.
Il problema vero è che, all’interno della scuola di oggi, accadono molti fenomeni dei quali non sempre si comprendono le profonde implicazioni che contengono e, di conseguenza, non vengono approfonditi come meriterebbero di esserlo.
Anche se l’intento è di operare in modo corretto, spesso si procede con molta approssimazione e casualità, senza i necessari provvedimenti di correzione e riparo, al punto che, quando si raggiunge un buon risultato, è soprattutto dovuto all’intraprendenza e alla sensibilità individuale di qualche insegnante particolarmente attento e sagace.
Il nostro sistema scolastico – è vero – in passato ha forse risolto la questione della scolarizzazione di massa e dell’analfabetismo. Ma quella era un’epoca animata dal vento del progresso e dal bisogno di democrazia. Gli obiettivi sociali e personali erano legati allo status economico e alla spinta verso quel benessere materiale tanto agognato.
Faceva da collante un’educazione di base volta alla disciplina e al rispetto istituzionale, fondata su quei famosi antichi “valori e principi” (come “Dio, Patria e famiglia”), che, per quanto discutibili, avevano creato una modalità di pensiero e di comportamento pressoché generalizzata nella popolazione di quel tempo, salvo qualche irriducibile ribelle.
Non possiamo certo rimproverarci, considerato il contesto di allora, di non esserci preoccupati delle conseguenze che tutto questo avrebbe avuto sulla dinamica della personalità individuale e sul futuro della società. Allora era così! Del resto, i problemi, le sofferenze, i conflitti, vengono a denunciare i limiti delle nostre approssimazioni e/o forzature. La negazione della realtà e dei bisogni umani, dura il tempo che dura; la vita, la verità, o se vogliamo il destino, non fanno sconti, ed ora, sulla base di quei datati concetti, dobbiamo attivare percorsi e orientamenti in grado di favorire una maturità e una responsabilità diverse, che oggi riconosciamo come indispensabili per costruire il mondo di domani. È fin troppo facile fare un parallelo con le nostre condizioni di salute per capire, allo stesso modo, che le malattie vengono a denunciare quanto il nostro modo di vivere sia offensivo della nostra natura e della nostra costituzione. Se la scuola non si fa interprete di questa realtà, di questo processo, non solo tradisce la sua vocazione più nobile e il suo ruolo di “maestra di vita”, oltre che di tecnica, ma ne pagherà, come di fatto sta succedendo, inevitabili conseguenze. È dalla scuola che deve, e può, partire questo proposito, capace poi di coinvolgere anche gli altri “editori culturali”, genitori in testa. Non sarà facile, considerato che la scuola si muove all’interno dello stesso sistema e assetto formativo che produce e riproduce quei limiti e quelle contraddizioni ben note a tutti.
C’è dell’altro da considerare! La scuola, al di là dei propositi didattici e delle linee guida istituzionali, è fatta di persone, insegnati, educatori, docenti. E l’educazione a cui mi riferisco passa principalmente dalla testimonianza, dalla sensibilità e dalla maturità intima e personale di ogni insegnante. Tutti noi ricordiamo quel maestro, quel professore, che con il suo modo di fare disponibile e accogliente ci ha lasciato un segno, un’esperienza utile nella vita. È di questo che abbiamo bisogno. Il lavoro principale quindi, deve essere fatto verso gli insegnati, per gli insegnanti, coinvolgendoli con nuove motivazioni, prime fra tutte quelle che riguardano la loro crescita, che deve essere percepita come un’opportunità di benessere e di equilibrio personale, ancorché di competenza e professionalità. Occorre costruire un nuovo orgoglio fatto di responsabilità e amore per la vita, così com’era esattamente in quei professori che abbiamo tanto amato.
Fa specie incontrare degli insegnati fortemente stressati, sull’orlo dell’esaurimento nervoso, che odiano il loro lavoro, oppure che hanno completamente abdicato ogni proposito passionale: meglio sarebbe per tutti (loro per primi) se smettessero di insegnare.
Il fondamento della nuova educazione dovrebbe, in primis, offrire un concreto contributo allo sviluppo della personalità, che deve passare dalla consapevolezza dell’insegnante, dal riconoscimento delle dinamiche comportamentali e dalla realtà dei procedimenti in atto. Questa è una fase storica, dove alla scuola tocca l’onere e il privilegio di farsi carico di questo intento: favorire la maturità e la coscienza necessarie al senso stesso dell’esistenza, secondo quei principi e quelle leggi che sono scritte nella natura dell’essere umano e nel suo processo evolutivo. Trascurare, o tener nascosta questa verità, oggi più che mai, comporta un arretramento anacronistico che non ci possiamo più permettere.