Da studioso del comportamento umano, nonché fautore del cambiamento, ho imparato a ravvisare i meccanismi della mente, la loro origine, la loro azione e, senza vanto e senza lode, penso di avere una certa dimestichezza nel riconoscere le correlazioni che esistono tra vissuto, educazione, stimoli e impulsi presenti in una persona. Questi elementi costituiscono quell’insieme di aspetti che, banalmente, chiamiamo “carattere”. Con questa definizione motiviamo e giustifichiamo le nostre scelte, trascurando l’insulto e l’allontanamento che imponiamo alla nostra vera natura, quando decidiamo di adottare uno stile di vita non conforme “alla vita”. Ma se vogliamo, questo può essere un importante passaggio evolutivo, dal quale nasce una nuova consapevolezza, sorta proprio dalla disillusione dell’arroganza umana, e dalla constatazione delle macerie che abbiamo lasciato dietro di noi. È chiaro che, in un primo tempo, la mente cercherà di mantenere il vecchio ordine, mostrando tutta la sua riluttanza e opposizione, nel tentativo di confermare la propria interpretazione della realtà, elencando gli interessi che il vecchio “modus vivendi” aveva concretizzato. Ma la mente “ménte”, perché mostra solo ciò che sa vedere in seguito agli indottrinamenti ricevuti, non solo dagli altri, ma anche auto-generati.

Non vorrei ripetermi, ma penso che questa sia una fase storica, che richiede fortemente un’espansione della coscienza o, se vogliamo, l’attivazione di quell’intelligenza primordiale che abbiamo silenziato per tanti anni, che però è l’unica capace di riconoscere le informazioni viziate alle quali abbiamo dato credito. Si tratta di favorire una riflessione personale e interiore, per diffondere la capacità di riconoscere le distorsioni del vivere quotidiano, attivando quel processo dinamico di crescita interiore, senza il quale non sarà mai possibile trovare equilibro, benessere, salute e pace. Siamo portati a credere che il resistere alla nostra natura e l’affidarsi a false credenze faccia parte della nostra costituzione umana, che consideriamo egoistica e cattiva, memori di una storia fatta di errori sociali e culturali. Ma non è così! O almeno non è solo così! Se lo fosse, sarebbe tutto prevedibilmente piatto, e forse il mondo sarebbe già terminato. La mente, senza un contrappeso critico e riflessivo, senza dimensione spirituale, senza testimonianza ed educazione al bene, è capace di credere e di fare le peggiori cose. Ma è anche vero che siamo sempre e solo noi decidere se affidarci ad una mera percezione sensitiva, orientata al piacere immediato, o aprirci a una più intelligente riflessione sui nessi e gli approcci che fanno tornare i conti.

“USCIRE DALLA GABBIA” significa scoprire uno spazio di connessione del tutto nuovo, dove l’anima fa da guida, invalidando le paure e le colpe indotte dalla cultura e dalla sofferenza auto-inflitta.

“USCIRE DALLA GABBIA” significa non avere più limiti verso l’avventura, verso la scoperta di chi siamo veramente, affidandoci a quell’energia vitale che determina le leggi dell’Universo. Avrei voluto dire “affidandoci a Dio” (che è poi la stessa cosa), ma non vorrei muovere qualche retaggio pregiudiziale o pseudo-religioso.

La scommessa di quest’epoca, dopo migliaia di anni di oscurità e di perdizione, è capire che la vita si afferma in base a verità proprie, orientate sull’amore, lontane dal caos e dalla conflittualità; capire che ogni egoico arbitrio mentale non è realtà, ma illusione; capire che dobbiamo cambiare lo sguardo verso il mondo, perché comunque tutto vuole insegnarci qualcosa. Solo per questa via si potrà favorire l’affermazione della vita, del rispetto totale, della gioia e della felicità, perché questo è l’ordine naturale delle cose.

Mi chiedo spesso quale via, quale percorso, quale educazione, quale convinzione possa aver generato l’Olocausto? E non riesco ancora a capacitarmi come la mente degli uomini sia stata capace anche di una tale follia, argomentando ragioni che oggi fanno rabbrividire più di allora. La questione di fondo resta sempre e solo una: riuscire a vedere gli inganni e i tormenti che attanagliano la nostra coscienza. Per fare questo dobbiamo togliere alla mente il potere “dittatoriale” che le abbiamo attribuito e che si è arrogata, rammentandole spesso che senza la supervisione del cuore, non riuscirà a realizzare mai niente di buono.
Corrado Ceschinelli