Che sia un momento difficile è fuori discussione. Che, prima o poi, in un modo o in un altro, i nodi arrivassero al pettine, era altrettanto inevitabile. Di che nodi e di che pettine stiamo parlando? Il coronavirus, al di là degli aspetti epidemiologi, in un colpo solo, ci mette difronte alla nostra alienazione dalla realtà. Una civiltà e una cultura del vivere che offende profondamente le leggi della natura nel tentativo di piegarle al mero interesse e alla più spregiudicata speculazione. Per capire di cosa stiamo parlando, proviamo ad ipotizzare, per un attimo, una civiltà impegnata a favore della vita, nel rispetto dell’ambiente, per un’economia essenziale, in una solidarietà senza confini e separazioni, per consentire ad ognuno di trascorre l’esistenza terrena in salute e con la massima dignità possibile, a favore del bene proprio e altrui. Un mondo dove l’educazione che si sperimenta e la conoscenza che si insegna fosse animata dalla verità e dal rispetto delle leggi. Questa “utopia” (che utopia non è) ci serve solo per misurare la distanza abissale tra la nostra negligenza attuale e quello di cui c’è bisogno per innescare un “obbligatorio” passaggio evolutivo.
Torniamo al CoVid-19. A prescindere da qualsiasi ipotesi dietrologica, sulla base di quanto abbiamo fin qui argomentato, questa situazione, per dimensioni e drammaticità, mette in particolare evidenza tutta la nostra vulnerabilità, mentale e fisica, con una forte esposizione al disorientamento, alla paura e, per somma, alla debolezza immunologica, con esiti, per i più compromessi, anche fatali.
Che cosa possiamo fare? Per prima cosa rendercene conto! In questa epoca di crisi, di transizione, di cambiamento, il nostro riscatto chiama in causa la nostra responsabilità, la nostra coscienza e la nostra consapevolezza. Tutti noi, a fronte di circostanze esterne avverse, abbiamo una capacità di forza/resistenza interna che può reggere benissimo ogni invasività. Una condizione alla quale dobbiamo guardare, in primis, per recuperare le nostre prerogative biologiche, così fortemente compromesse da renderci estremamente fragili.
Ma attenzione! Questa nostra fragilità non aveva bisogno del coronavirus per essere riconosciuta. Basta guardare le condizioni di salute del genere umano e i numeri drammatici delle patologie degenerative, per rendersene conto. Prenderne atto vuol dire “svegliarsi”, vuol dire uscire dall’ingenuità di sistema, dal suo condizionamento, dalle sue logiche; vuol dire prendere in mano la propria vita, fare scelte quotidiane a proprio vantaggio. Vuol dire attivarsi, interessarsi, cambiare in prima persona.
C’è un’alimentazione, un’integrazione nutraceutica, che ci rende più forti, più resistenti, e c’è un modo di vedere le cose che può cambiare i nostri pensieri, i nostri stati d’animo, che a loro volta modificano il nostro stato energetico interno, rendendoci ancora più forti, ancora più immuni. La cosa paradossale è che il Sistema Sanitario stesso, attraverso le sue dichiarazioni, riconosce e ammette queste implicazioni. Lo fa nel momento in cui correla la morte per coronavirus a persone anziane, con patologie infiammatorie pregresse, senza minimamente sollevare la questione intorno all’origine e alle cause dello stato infiammatorio già esistente. Lo fa nel momento in cui correla la paura alle difese immunitarie, esortando alla tranquillità e, contemporaneamente, alimentando paura e stato d’angoscia. Dov’è la logica di tutto ciò? Dall’altra, gli studi, la ricerca, la nuova medicina, spingono sempre più in quella direzione, informazioni e verità che non raggiungono i media a causa di una selezione, spesso spacciata per cautela, che è propria del sistema stesso. L’ultimo studio in ordine di tempo, datato febbraio 2020, viene dall’Università di Shangai, nel quale si evidenzia la relazione che esiste tra la nuova infezione virale e lo stato di disbiosi (l’alterazione della flora batterica intestinale) a partire da un constatato collegamento tra microbiota intestinale e polmoni. Se la flora batterica è in uno stato di equilibrio (eubiosi) si attiva una risposta di determinati interferoni che aumentano l’immunità specifica contro il virus della polmonite, sia a livello preventivo che terapeutico, se la sindrome è già presente. Ma questo non fa altro che riportarci al tema di fondo di cui abbiamo discusso fin qui. Vincere il coronavirus è qualcosa di più che una speranza farmacologica: è un’occasione per riflettere sui nostri errori, sulle nostre distorsioni, che hanno favorito il coronavirus, e forse anche generato. Virus e batteri patogeni sono sempre esistiti, ma mantenere attive le nostre difese per combatterli è compito nostro. Comprendere questo è un requisito indispensabile per il futuro dell’umanità.