Ancora una volta, la scienza e la ricerca ci vengono in aiuto, per rammentare e organizzare al meglio la naturale presenza della pratica sportiva nella vita dell’essere umano. Essendo “animali di movimento” è logico riscontrare nella dinamicità fisica un miglioramento generale di ogni funzione, al pari di quanto la sedentarietà riduce e pregiudica apparati, sistemi e organi.
Una recente analisi del Lancet Physical Activity Working Group ha misurato l’effetto dell’inattività fisica sulle malattie non trasmissibili indicate dalle Nazioni Unite (diabete e sindrome metabolica, infarti, ictus, tumori, Alzheimer, Parkinson...): i risultati sono sorprendenti! Facendo un calcolo sull’incidenza di queste patologie a livello mondiale, si è stimato che più di 5,3 milioni di decessi si sarebbero potuti evitare se le persone implicate fossero state attive, piuttosto che sedentarie. L’inattività fisica provoca il 6 – 10% delle principali patologie croniche, tanto che lo studio ha concluso con il considerare la sedentarietà come un vero e proprio fattore di rischio, alla stregua del fumo e dell’obesità. Molte altre ricerche sono venute in questi ultimi anni a documentare i benefici e i vantaggi funzionali per la salute e per il benessere psicofisico. La somma dei risultati ci riporta al tema della centralità biologica, di cui abbiamo tanto parlato, mettendo alla berlina l’illusione della discrezionalità umana. Insomma, siccome l’esercizio fisico risponde ad una prerogativa costituzionale, non può che favorire e contribuire all’efficienza, alla regolazione, in una parola alla massima espressione vitale. Le attività e le specialità fisiche sono molteplici e vanno considerate, programmate e gestite in ragione degli aspetti tecnici e del sostegno dei processi che scatenano, che occorre saper sostenere…
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