Ciò che attanaglia le nostre menti, che crea malattia, disagio, difficoltà, tensioni, conflitti, come abbiamo detto più volte, non è altro che l’errore di vivere una vita che non è. Capita che si trascorra addirittura un’intera esistenza senza rendersene conto, e la cosa più incredibile è che tutto accade oltre la nostra visione o limitazione percettiva.

Capire di cosa sto parlando, ma ancor più cambiare in ragione di questa verità imprescindibile e indiscutibile, non è facile! Non è facile, non perché siamo stupidi o per mancanza di volontà, o per l’insano gusto di “farsi del male”: la difficoltà vera è nella stessa natura del processo o, se vogliamo, nelle modalità stesse del cervello, della mente, che, a partire dall’esperienza vissuta, ci fa vedere le cose secondo logiche e modalità acquisite, che poi si traducono in opinioni, idee, convinzioni, comportamenti indotti.

Se in questa combinazione di fattori educativi e culturali condizionati e condizionanti, la vita vera, nella sua essenza e nella sua natura, non è contemplata, ciò che si produce è principalmente sofferenza, in tutte le sue forme. Come a dire: c’è una meta da raggiungere, un progetto da compiere, delle regole da rispettare, oltre quello che si crede, oltre quello che si pensa. Non se ne ha considerazione? La sofferenza allora è il modo con cui la vita stessa viene a ricordarcelo nel tentativo di farci ravvedere, di farci capire di cosa si tratta e qual è il passo da compiere per diventare consapevoli di questa verità.

Se avessimo – se imparassimo ad avere – considerazione di questa realtà e del suo significato, vi assicuro che, non solo si allargherebbe il nostro sguardo, ma cambierebbe completamente il nostro orizzonte, la nostra percezione e il nostro stato. Si dipanerebbero le nostre paure, avremmo più responsabilità verso noi stessi, verso gli altri e il mondo che

ci circonda, avremmo migliori condizioni di salute e di vivibilità, insomma, si magnificherebbe la nostra esistenza.

La coscienza, come espressione dell’anima, come pulsione energetica dell’Universo, tornerebbe al governo della nostra vita, oltre la cultura e la storia, oltre il tempo, con l’unico scopo di indicarci la strada del compimento. “Ma come?”, direte voi! Se la coscienza è la partita, la ragione della vita, l’espressione dell’energia realizzatrice, perché è così alla mercé dell’esperienza e del condizionamento? Ebbene si! La coscienza nell’uomo ha bisogno della sua presenza, della sua considerazione, dello spunto interpretativo, della sua azione consapevole. Pensate anche solo allo stile di vita, al nostro modo di mangiare e vi renderete conto di quanta arroganza e ignoranza (dal verbo “ignorare”) ci sono nelle nostre scelte e nelle nostre decisioni. Quanta poca coscienza e quanta ingenua arbitrarietà! La coscienza, che governa l’Universo, che sostiene la vita in tutte le sue forme, si esprime attraverso condizioni ambientali spontanee, leggi ed equilibri che sono proprie del sistema planetario e delle sue leggi costitutive. È così, semplicemente così! Del resto se piantiamo un seme in condizioni ambientali avverse, la “coscienza” di quel seme può poca cosa. Tutto ciò che limita o impedisce l’espressione naturale, la crescita, la realizzazione, si riflette sul suo stesso destino. E questo vale per ogni cosa!

Qual è allora l’inibizione principale, l’aspetto più compromettente per l’uomo? Proprio la sua mente, per la ragione che la coscienza dell’essere umano, passa dalla sua consapevolezza. La sua mente sostituisce la legge lineare o il puro istinto, e dota il genere umano della facoltà di pensare e decidere. Ma questa facoltà, per sua implicita condizione, occorre che orienti il pensiero e le decisioni nella direzione della vita e non contro di essa. È la mente il tramite per interagire con la coscienza, che deve farsi interprete della coscienza. Se fin dall’inizio della sua “costruzione”, la mente non riceve informazioni e non fa esperienze in linea con la vita, rimane intrappolata in questo equivoco, e nella ridondanza degli errori. In questa separazione c’è tutta l’origine del patire umano e tutto il senso della sua risoluzione, direi tutto il senso dell’esistenza. Il fine ultimo non è nient’altro: la riconciliazione con noi stessi per ciò che siamo e con il Tutto di cui facciamo parte. Siamo l’espressione più evoluta, ma anche la specie più compromessa e compromettente. Siamo causa del nostro male e dello squilibrio stesso del pianeta, senza nemmeno capirne più il nesso e la ragione vera. È solo la coscienza consapevole che ci riporterà verso l’Amore e la pace, la nostra pace personale interiore, ma anche esteriore, con il nostro prossimo e con l’ambiente di cui facciamo parte.

Non ci sono alternative, medicine, metodi, regole, che possano guarire questa ferita e questa separazione. Rendersene conto, conoscere le leggi, riappropriarsi dell’anima, dei suoi significati e dei suoi linguaggi, è il tema evolutivo e risolutivo delle pene, è la via della riconciliazione e della guarigione vera. Anzi, la salute e il benessere psicofisico, diventano un indice e una misura del processo. Dopo secoli di buio, di illusioni, di presunzione e di arroganza, la stessa scienza, la stessa medicina riscopre questa verità, tutte le sue connessioni invisibili e tutte le sue implicazioni simboliche e spirituali. Siamo all’inizio di un fermento di grande portata trasformativa, forse senza precedenti, che riguarda, appunto, sia la coscienza individuale che collettiva. Assisteremo a colpi di coda, riluttanze e resistenze di ogni genere, che partiranno proprio da quella stessa mente condizionata e ridotta. La partita è interessante perché finalmente ritorna in campo la coscienza e la spiritualità così intese. In fondo siamo qui proprio per rendercene conto, per imparare e insegnare ad amare, in una parola: siamo qui per “imparare a vivere”.