Che mi trovi in una conversazione tra amici o in coaching relazionale non è tanto difficile portare una persona ad ammettere una verità oltre le sue apparenze, oltre le ragioni delle sue presunte convinzioni e certezze. E non è nemmeno difficile descrivere e farle comprendere il meccanismo perverso nel quale si è infilata, facendole riconoscere le emozioni di fondo che stanno alla base dei suoi comportamenti “invisibili” e del malessere nei suoi umori e nelle sue relazioni. Questa comprensione è possibile e relativamente semplice. È il passaggio successivo che incontra difficoltà e insidie, delle quali la persona è spesso vittima inconsapevole.

cambiareVittima di un processo perverso, che se non si conosce e non si considera, si rischia di essere portati in uno stato di perenne disagio psicologico che rende difficile, se non impossibile, qualsiasi proficua trasformazione. Certo se fossimo cresciuti nella libertà, nell’amore e nel rispetto, nella consapevolezza che tutto accade per sua natura, correttamente dentro di noi, abituati all’ascolto e all’osservazione, alla responsabilità e all’autenticità, alla spontaneità e alla verità… vivremo un’altra vita, e non saremmo nel mondo che siamo. Potremmo anche dire che siamo qui per questo, e che tutto ciò è il significato vero dell’esistenza, per compiere questo viaggio, per ritrovare questo senso. Tutto il resto è perdizione, virtualità, interpretazione arbitraria, e il nostro stato, fisico, psichico o sociale che sia, è la misura esatta della nostra distanza da questa verità e dalle sue regole. Essere cresciuti invece nella paura, con il peso del giudizio, nella rabbia e nella colpa, proiettati verso l’esterno, tesi a dimostrare, o apparire, piuttosto che ad essere, totalmente assenti nelle proprie decisioni, rassegnati agli eventi e alle circostanze, condiziona il nostro cervello e la nostra percezione a tal punto da farci credere che questa sia la realtà, tenendoci, inevitabilmente, lontani dal pensiero di poterla cambiare. Il cervello lavora così! Si suggestiona per ripetizione di situazioni, di eventi, di emozioni, di comportamenti, che esegue poi per abitudine, in modo automatico: è la sua stessa natura neurologica. Se lo lasciamo fare ripete incessantemente ciò che è abituato a fare, a pensare, a provare. Tutto il nostro essere passa da questo meccanismo, sia che riguardi una nostra personale difficoltà o un atteggiamento sociale anestetizzato dall’assuefazione. In questo stato, la persona è quasi totalmente governata dalla sua mente inconscia, e ciò che accade in una conversazione amichevole, o all’inizio di un dialogo terapeutico, non ha niente a che vedere con la visione profonda, con il cambiamento. È come se la persona fosse separata da se stessa. È per questo che dopo un’iniziale comprensione sul piano della logica, cominciano i “ma” e i “però”, che sono un modo per farci rientrare nell’alveo delle abitudini, senza troppi sensi di colpa o preoccupazioni. Altre volte, quella stessa mente, quelle stesse abitudini, ci fanno credere che “è difficile”, trascurando quanto sia veramente difficile vivere in quello stato e in quelle condizioni. Al di là quindi di una razionale comprensione, la nostra mente continua a operare secondo ciò che ha appreso e sperimentato, fintanto che non riattiviamo la nostra presenza connaturata alla nostra centralità biologica, riprendendo il comando delle nostre decisioni/azioni, fintanto che non ci rendiamo conto che in ogni istante possiamo riconoscere ciò che viene automaticamente da quella memoria, imparando a scegliere diversamente, sperimentando nuove vie, nuove risposte, nuovi comportamenti, coerenti con la nostra natura e propedeutici al nostro viaggio esistenziale, della libertà, dell’autenticità e dell’amore. Mi ricordo Grazia, in una telefonata, mentre alternava ai suoi “hai ragione”, altrettanti “si, però”… Oppure Laura, che nel prendere coscienza di alcuni suoi meccanismi emotivi di grande sofferenza, invece che gioire del futuro che l’aspettava, sicuramente sempre diverso dal passato, la cosa che la preoccupava di più era che “fosse difficile”, dimenticando appunto, come dicevo, quanto lo fosse vivere in quello stato. Per non parlare di Giorgio, e di quanto fosse impegnato con la sua logica a dare un senso e una spiegazione alle cose, nel tentativo di oscurare un mondo fatto di paure, disistima e insicurezza. Non voglio ne criticare ne giudicare nessuno, e sono consapevole che esistano seri e bravi professionisti della mente, ma rimango attonito e amareggiato, nel sentire spesso, dalle persone che incontro, che in anni di terapie psicologiche varie, non sono ancora riusciti ad avere quella restituzione alla vita che meritano di diritto, al di là di ogni prestazione professionale più o meno retribuita.