Qualche giorno fa, a proposito della presenza di Fedez e Chiara Ferragni al Lefay Resort di Pinzolo, in considerazione di alcuni commenti beceri nei loro confronti apparsi in calce ad alcune loro immagini postate sui social, qualcuno ha pensato bene di commentare la cosa affermando che “l’invidia sociale è il vero cancro di questa società”. A tal proposito vorrei dire due cose, nella speranza di contribuire ad una riflessione che porti l’argomentare oltre il pelo dell’acqua. Non me ne vogliate! Sono consapevole che il rischio è altissimo. Quindi vorrei sgombrare il campo da qualsiasi intenzione di saccenza o dall’intento di giudicare qualsivoglia esternazione, commento o comportamento. È da tempo che mi sono abituato a considerare i processi, le cause, le ragioni, al netto da ogni presunzione morale. Amo la verità e credo veramente che sia l’unica strada che ci rende liberi, liberi dalla paura, dall’invidia, dalla rabbia, dalla colpa, dalla disistima. Senza verità, senza comprendere le proprie e altrui dipendenze, ritengo sia molto difficile avere una visione obiettiva della realtà, e quindi diventa assai facile schierarsi, a torto o a ragione, da una delle due parti. Ma schierarsi vuol dire, separare, discriminare, escludere, e anche quando crediamo di essere nel giusto, molto spesso è una nostra idea di giusto.
Arrivare ad essere liberi da reazioni compulsive è la vera scommessa della vita, oltre che l’unica, reale, pacificazione con sé stessi, con gli altri e con il mondo intero. Se la vedessimo così, sentiremo subito il bisogno di abbassare i toni, e avremmo tutte le ragioni di concentrare l’attenzione sulle nostre dinamiche emozionali interne.
Sempre nello stesso commento, a rinforzo della tesi sull’invidia come causa prima della cattiveria, veniva riportata questa citazione di Oscar Wilde: “L’invidia è quel sentimento che nasce nell’istante in cui ci si assume la consapevolezza di essere dei falliti.”
Non posso condividere l’opinione dell’illustre quanto stravagante Oscar Wilde, poiché tale affermazione mette un accento negativo sulla relazione “fallito/invidia”, invece che aprire una discussione di merito intorno all’idea del “sentirsi cosa”, del “pensarsi come”, che sarebbe molto più istruttiva ed educativa. Si dovrebbe capire che nessuno è fallito, immeritevole, indegno, anzi, nella mente di chi pensa questo, è senz’altro successo qualcosa che glielo ha fatto credere, pensare, dedurre. Quindi, l’analisi andrebbe fatta su tale mente, e non sull’oggetto del contendere. Non è facile capire che ciò che esprimiamo è ciò che siamo, sulla base delle esperienze che abbiamo accumulato: per rompere questo circolo vizioso bisogna, in primis, rendersene conto. Per me è stato così, e posso confermare che tutto il malessere che incontro origina da questo equivoco. Da questo punto di vista ci sarebbe da riflettere, spostando lo sguardo oltre i meriti/demeriti di Fedez e Chiara Ferragni (che peraltro fanno molto bene ciò che sanno fare, secondo le regole di questo gioco di apparenze) per portarlo su tutte le facce e le implicazioni del fenomeno, passando dai commenti sgradevoli nei loro confronti senza lasciar fuori tutta la modalità celebrativa intorno alla loro idealizzazione, fino alla ricerca esasperata dei selfie da trofeo. La spregiudicatezza di questa nostra epoca, che ha tutto l’interesse ad alimentare queste deviate illusioni, se ne guarda bene dal favorire un processo in grado di fare i conti con la propria storia e con la propria coscienza. I paradossi dell’apparenza, della superficialità, sono infiniti, e non finiscono mai di sorprendermi e dispiacermi: sugli stessi social si riesce persino a dipingere di saggezza e di filosofia vicende, drammi, che dall’anoressia, dal sovrappeso, portano al body building, al fitness d’immagine, nascondendo una realtà, fatta di farmaci, e compromessi, che sicuramente non fanno bene alla verità e alla crescita psicologica di nessuno. Pur con il massimo rispetto e con tutta la mia umana comprensione, non posso fingere di non vedere il basso livello di cultura e di rispetto che, in certi casi, si raggiunge, a discapito di quella dignità che ogni essere vivente ha diritto di evocare come suo sacrosanto diritto, nonostante tutto.