Seguo spesso i programmi televisivi di approfondimento giornalistico della politica, dell’economia, e dell’attualità in genere, non solo per un mio innato interesse alle vicende della nostra epoca, ma anche per osservare il grado di comprensione dei fatti stessi, al di là della loro narrazione fattuale. La mia impressione è che, in generale, manchi la capacità, più che la volontà, di andare al nocciolo delle questioni. Per andare al nocciolo è necessario aver maturato una visione del vissuto e dei comportamenti delle persone, due elementi che chiamano in causa la società, i suoi modelli, i suoi valori, in una parola, i percorsi di formazione e di sviluppo della personalità stessa. Quello che siamo oggi, un po’ tutti, analisti e politici compresi, risulta dall’esperienza e dal grado di consapevolezza raggiunto. Al mancare di una visione che consideri il senso stesso della vita, e cioè la vocazione e la necessità di raggiungere quella maturità che è nelle leggi della coscienza e della natura dell’uomo, è difficile attivare un processo che ci faccia uscire dall’impasse esistenziale. Prendiamo come esempio un fatto dei nostri giorni, purtroppo frequente: il femminicidio. Il ragionamento di solito comincia e finisce intorno all’esternazione e alla condanna, ad un generico richiamo al rispetto della donna, alla richiesta di una pena esemplare senza sconti, a reclamare provvedimenti che tutelino e intervengano con maggiore tempestività. Quando ci si spinge oltre si arriva a chiamare in causa la cultura e l’educazione. Tutto giusto! Ma quello che manca è spostare la questione, l’interrogativo, sul perché un uomo arrivi ad un tale gesto di offesa della vita? E cioè, che cosa è successo perché ad un essere umano sia mancata la possibilità di sviluppare la sua innata saggezza ed autonomia? Che cosa succede nel suo sistema nervoso perché sia travolto dalla sua impulsività, dalla sua compulsività? Queste domande servirebbero per definire un orizzonte al quale guardare per favorire quella crescita, quella maturità, tanto indispensabile quanto ineluttabile, per un salto di civiltà. La “vecchia” politica, alla quale si rimprovera personalismo, mancanza di competenza e progettualità, paga questo debito a partire proprio dalla sua immaturità. Se la politica è più volta ad ottenere consensi e a salvaguardare privilegi, difficilmente saprà mettersi alla guida di una così importante e delicata sfida, capace di demolire tutte quelle credenze e convinzioni che hanno portato il mondo nel baratro della crisi. Se assieme al progresso tecnologico non aumenta anche lo stato coscienziale ed etico delle persone che vi partecipano, è molto più probabile che si realizzi una regressione culturale, anziché uno sviluppo sociale vero e proprio. Dall’altra i nuovi movimenti di aggregazione sono portatori di questa istanza e di questa necessità, proprio perché, dal basso, dalla coscienza individuale, si fanno sempre più manifesti questi segni di rinnovamento esistenziale. Il futuro comincia proprio da questo “risveglio”; un cambio di logica che superi l’equivoco e la mortificazione che viene nel constatare una decadenza che non meritiamo. Ad ognuno di noi rimane una straordinaria opportunità di miglioramento; alla politica l’onere di farsi interprete e guida di questa meravigliosa, imprescindibile, necessità.