Questa mattina, mentre mi accingevo a scrivere l’articolo di questa settimana, dal titolo “Se non è amore, che cos’è?”, sono stato catturato dai video testimonianza sul caso di Manduria: il 66enne morto il 23 aprile scorso, dopo essere stato rapinato, torturato e picchiato in più occasioni, da un gruppo di giovani, per la maggioranza minorenni. I video, le voci di sottofondo, una brutalità inaudita, non possono che muovere la nostra indignazione, forse anche la voglia di infliggere loro lo stesso trattamento.
Ma se spostiamo l’attenzione da un’istintiva voglia giustizialista, quanto mai motivata, e proviamo a chiederci come sia possibile tutto questo o, più in generale, che origine abbiano le nefandezze che quotidianamente la cronaca ci racconta, forse allora potremo capire che quei ragazzi, così “indemoniati”, altro non sono che l’inevitabile conseguenza di una responsabilità molto più grande. Una responsabilità che chiama in causa l’intera società, la sua cultura, la sua educazione, privata di ogni principio etico; una degenerazione di sistema che non ha più ne testa ne coda, che non può essere imputata e ricondotta al singolo o alla famiglia, per la semplice ragione che tutto nasce da questo maledetto circolo vizioso di disarmonia che ingloba ogni ambito sociale. Ci piaccia o no, ci risulti o meno, non si può genericamente reclamare un comportamento senza tenere conto del percorso di vita che condiziona la nostra esistenza, e nostre esperienze e la nostra personalità. Anche se infliggeremo la peggiore delle pene a questi poveri “disgraziati”, è importante capire che servirebbe a ben poco, rispetto alla crudeltà imperante e dilagante, che è il vero problema dell’umanità. Questo non significa che non si debbano prendere seri provvedimenti ma solo che non dovrebbero limitarsi alla punizione in sè. Se ci fosse comprensione del processo e, al tempo stesso, assunzione di responsabilità collettiva, questa situazione dovrebbe far riflettere sull’origine di questi eventi, e l’eventuale “punizione” dovrebbe preoccuparsi soprattutto di “sanare” un’esperienza di vita che, loro malgrado, li ha portati ad essere quello che sono e a compiere un’ignominia di tale gravità.
Se avessi scritto “Se non è amore, che cos’è?”, non sarei andato tanto lontano da queste considerazioni, e dal mettere l’accento su questa perversione che, per altro, riscontro e misuro quotidianamente nei tormenti dell’umano vivere. È quindi un errore madornale limitarsi a demonizzare l’azione o il singolo, senza considerare l’influenza dell’ambiente, e quanto questa influenza sia determinante nello sviluppo della personalità e dei suoi equilibri, affinché la responsabilità, la tolleranza e il rispetto, possano essere sperimentati, incarnati, vissuti e trasmessi attraverso la propria testimonianza, in ogni ambito e per ogni ruolo. In ogni forma di sopruso, violenza, intolleranza, c’è questo tradimento e quest’offesa ancora troppo poco considerate e contemplate dal sistema sociale. Basta ascoltare una trasmissione intorno a questi temi, o sentire le varie esternazioni politiche per rendersene conto. Il sistema, in tutte le sue manifestazioni, analisi e opinioni espresse, mancando della visione necessaria, tende a esorcizzare e a criminalizzare le forme più estreme che giudica tali, senza minimamente considerare che provengono proprio da esso, è lui stesso che le produce. Possiamo pensare alle condizioni di salute di tante persone e dell’ambiente, per capire il subdolo gioco di una presunta forzata normalità, che la nostra ignoranza e anestesia esistenziale riescono a legittimare, consentendo di vivere a questo contraddittorio paradosso. Non ci sarà fine a questo martirio e a questa degenerazione fintantoché la coscienza individuale e, per somma, la coscienza collettiva, non avrà raggiunto un grado di consapevolezza tale da favorire la vita nella sua essenza più vera, guardando ad una Natura e ad una Spiritualità che, nel suo manifestarsi, ha in sé tutto l’amore di cui c’è bisogno per vivere in pace.