Qualche tempo fa, il mio amico Tom mi raccontò un episodio accadutogli, che lo lasciò piuttosto perplesso. Premetto che Tom è una persona di notevole sensibilità e intelligenza. Da tempo si dedica alla ricerca spirituale, ma è anche impegnato a darne testimonianza nella realtà di tutti i giorni. Mi lega a lui una profonda amicizia, cominciata da una comune passione e pratica per le arti marziali, evolutasi, nel tempo, in una complicità fatta di ironia e appassionanti riflessioni sull’esistenza umana. Una dialettica viva e creativa, onesta e sincera, utile alla crescita personale di entrambi, perché costantemente rivolta alla ricerca e allo studio, senza mai perdere di vista le nostre contraddizioni e le nostre vicende quotidiane di ordinaria follia, che si alternano nel nostro viaggio di conoscenza e consapevolezza. Questo sodalizio, tra le tante cose, ha realizzato anche un’Associazione – Iniziative Educative – avente lo scopo di favorire un processo educativo integrato e articolato, attraverso vari eventi come, tanto per citarne uno, il 2° Convegno sull’Educazione Evolutiva, che stiamo organizzando a Pergine Valsugana, a metà settembre, dove si alterneranno illustri relatori ai vertici della cultura, della medicina e dello spettacolo, sul tema (quanto mai sentito) “Imparare ad amare”.
Ho fatto questo preambolo per far comprendere che il mio amico Tom non è assolutamente una persona scortese o insensibile, ma nell’occasione che ho citato inizialmente, è stato messo di fronte a un aspetto di se, che forse, da solo, non avrebbe mai considerato. A quei tempi, Tom faceva parte di un’azienda di servizi fiduciari, che svolgeva le proprie mansioni di sorveglianza e controllo anche nei centri commerciali. Durante uno di questi servizi, Tom fu avvicinato da una signora, che chiese un’informazione piuttosto dettagliata al mio amico, il quale si apprestò ad ascoltare la richiesta con serietà e attenzione, fissando la signora nell’intento di cogliere ogni particolare della sua domanda. Ad un certo punto, la signora s’interruppe e disse a Tom: “Certo che se mi guarda in quel modo, mi passa la voglia di rivolgermi a lei”. E, in modo piuttosto brusco, si girò e se ne andò. Come ho detto, Tom rimase molto colpito da questo episodio, proprio perché non esisteva assolutamente in lui, alcun intento di incutere timore o di esternare un ipotetico stato d’animo contrariato. Ora, conoscendo Tom, non ho il minimo dubbio sui suoi intenti, così come è molto probabile un’esagerata suscettibilità della signora in questione. Resta il fatto che il linguaggio non verbale che esprimiamo con le nostre posture e ancor di più con le nostre micro-espressioni facciali, può produrre nei nostri interlocutori delle dinamiche emotive inconsce, scatenando atteggiamenti di fastidio, paura e chiusura, con conseguenti reazioni di difesa o attacco, che senz’altro non fanno bene alle nostre relazioni. Questi automatismi sono fortemente legati alla storia e alle esperienze della persona e agiscono fuori dal nostro controllo razionale. Diventano il criterio “sensazionale” con il quale strutturiamo simpatie e antipatie, giudizi e pregiudizi, ma il danno più grosso è quello che ci tolgono la libertà di riconoscere obiettivamente la realtà senza esserne travolti. La soluzione ovviamente è dentro di noi e necessita di un percorso che rivisiti le nostre fragilità e riveda le cose da un altro punto di vista; un percorso, che oggi mi sento di dire “obbligatorio”, per sviluppare un’autonomia sufficiente a mantenere una certa stabilità emotiva indipendente dalle circostanze esterne, da persone, fatti o situazioni. Perché dico “obbligatorio”? Perché siamo fatti per essere e per stare in quest’autonomia, non certo per vivere nella dipendenza e nella suscettibilità. Che fare nel frattempo che lo si capisce e lo si impara? Nel frattempo benaugurante di capire qualcosa di più di sé stessi e degli altri? Molto semplice! Scegliete il sorriso, come azione premeditata del cambiamento. Il sorriso è terapeutico in sé, aumenta e facilita le nostre relazioni, fortifica la nostra autostima, attenua le nostre paure. Attenzione però! Non deve essere una maschera, un sorrisino carico di sufficienza e ambiguità. Dobbiamo considerare che le espressioni arrivano direttamente nell’inconscio di chi le osserva e, attraverso questa modalità percettiva, provocano emozioni e sensazioni corporee, con le quali, inevitabilmente, ci si trova a fare i conti. Che lo si esterni o che lo si tenga dentro sarà sempre un disagio. Un sorriso vero distende il viso, e se è accompagnato da una sincera cortesia, sgombra il campo da ogni interferenza predisponendo chiunque ad un miglior rapporto. Un “bel viso”, per quanto bello sia, da solo, non può niente di tutto ciò.