Se gli uomini fossero “nella vita”, rispettassero il “codice vitariano”, se si considerasse e conservasse il principio vitale e spirituale, in fede alla nostra coscienza e ai nostri bisogni, l’amore, il rispetto e la responsabilità, sarebbero nella cultura, nell’economia e nell’educazione del vivere. Si avrebbe riguardo di ciò che si mangia e di come si vive; le nostre relazioni risulterebbero da altri presupposti. Se si conservasse questo stato, se si praticasse questa via, la salute e la vitalità sarebbero la regola, e il trascorrere del tempo nient’altro che un’occasione continua per accrescere e amplificare quella consapevolezza necessaria a farci percepire la nostra unione con l’Universo di cui facciamo parte.
Il Coronavirus, che si voglia o meno, oltre il dramma dei decessi, al di là delle disposizioni precauzionali, nasconde questa verità, e cioè una fragilità immunologica ed esistenziale, come conseguenza delle offese provocate dal nostro modo insano di vivere e di pensare la vita. È inimmaginabile quali benefici si possono incontrare cambiando la visione delle cose, capendo le ragioni dei nostri tormenti, restituendo al nostro nutrimento la sua valenza funzionale, e riprendendo il cammino verso quella saggezza animica che abbiamo coperto in nome di un falso benessere. Niente di miracoloso quindi: si tratta semplicemente di riportare “il bene” nelle nostre esistenze, sapendo che il primo passo non ci porta dove vogliamo, ma ci toglie da dove siamo finiti.
Corrado Ceschinelli e Tommaso Clemente