Ciò che ci accade nella vita, gioie e dolori, salute e malattie, successi e insuccessi, sono per lo più legati al mantenimento e allo sviluppo delle nostre prerogative costituzionali, su tutti i piani dell’esistenza: fisica, mentale e spirituale. Essendoci nell’uomo la minima determinazione istintuale e il massimo sviluppo del cervello, che significa un’enorme possibilità di scelta, a differenza di qualsiasi altro essere vivente, quello che fa la differenza sono le nostre decisioni che, a loro volta, dipenderanno da una giusta considerazione e conoscenza di sé.
Questo, sostanzialmente, è ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Per dirla in termini più chiari, il loro “libretto delle istruzioni” è incorporato nel loro DNA, mentre noi lo dobbiamo acquisire strada facendo, ma certo è che, in entrambi i casi, le cose funzionano per leggi naturali e non per nostre opinioni. Il nostro “libretto delle istruzioni” – e cioè la comprensione della vita, la conoscenza dei fenomeni, dei bisogni e dei processi, i comportamenti, le credenze e le convinzioni – si forma e si trasmette attraverso l’educazione, la testimonianza e la cultura generale. Il che ci porta a dire che ciò che impariamo, e il tipo di esperienza che facciamo, alla fine, saranno determinanti per la qualità e la durata della nostra vita. È curioso come questa relazione, cioè il rapporto tra conoscenza/esperienza e risultato finale, sia riconosciuta per un qualsiasi “mestiere” o per lo sviluppo delle prestazioni in ogni campo, e non si sospetti minimamente che valga anche per quanto riguarda il “mestiere di vivere”. Occorre dire che lo sviluppo delle competenze e, naturalmente, dell’esperienza, è un processo dinamico/evolutivo. Come si dice a Napoli “nessuno nasce imparato”, è ovvio! Ma certo è che la differenza tra il potenziale vitale di ogni organismo e la qualità/durata di vita, di ogni forma, in ogni luogo, sarà, ed è, caratterizzata dalla coerenza tra i fattori ambientali e le prerogative costituzionali di ogni specie. Ad un convegno, qualche tempo fa, un biologo vantava l’importanza di conoscere il suddetto “libretto delle istruzioni” e, riferendosi a una pianta, il concetto che intendeva far passare era che, conoscendo la relazione tra “condizioni ideali” ed “espressioni dei geni”, si poteva favorire la massima resa della pianta in questione. Già allora rimasi sorpreso perché, mentre veniva fatta una simile ammissione, a nessuno venne il sospetto che la stessa cosa potesse essere applicata anche all’organismo “umano”. Eppure ne sappiamo molto, dei nostri geni e dei fattori condizionanti; tanto quanto basta, per utilizzare quel potere discrezionale che ci è dato dalla nostra evoluzione, insieme alla possibilità e alla responsabilità di scelta… tanto da poter cambiare radicalmente il destino delle nostre esistenze. Questo sarebbe possibile se non ci fosse un paradosso enorme che ci impedisce di riconoscere questa evidenza per operare quel cambiamento a nostro favore: il paradosso a cui alludo, che diviene un ostacolo alla nostra vivibilità più naturale, è nel nostro stesso cervello, o meglio, nei dati acquisiti. Quel condizionamento che, attraverso la via della testimonianza e della cultura, finisce per consegnarci un “libretto delle istruzioni” arbitrario e “tarocco”, con il quale poi sviluppiamo idee, pensieri, comportamenti, scelte. Senza più alcuna considerazione di tutto ciò, la nostra visione e percezione della vita si riduce a un’esternalizzazione illusoria che ci fa credere che basta avere, produrre, consumare, come se tutto questo non avesse (o non avrà) un impatto sulla nostra esistenza personale, sociale ed ambientale. Mentre scrivo, mi vengono i brividi al solo pensiero di dove sia finita la specie umana e quanto quei geni siano maltrattati e bistrattati. Mi vengono i brividi per il livello di banalità e di luoghi comuni con il quale siamo capaci di spiegarci un destino da noi stessi provocato. Mi vengono i brividi a pensare alle schifezze che ingurgitiamo, ai veleni che scarichiamo, alle tensioni che impropriamente e innaturalmente proviamo in noi stessi e al riflesso sociale di tutto questo. Mi vengono anche i brividi, ma questa volta in senso buono, al pensiero di essere testimone e di verificare quotidianamente questa verità/realtà. Mi emoziona il pensiero che forse siamo all’inizio di una nuova epoca, di una nuova cultura che, andando a riprendersi ciò che abbiamo dimenticato da troppo tempo, getta le basi e i presupposti per un altro futuro dell’umanità e del mondo intero. Mi emoziona l’idea di poter condividere questa esperienza e questo entusiasmo nascente con persone, e in situazioni, dove oggi è veramente possibile acquisire, e insegnare, le giuste istruzioni di vivere.