L’alimentazione, a partire dagli anni 90, ha occupato un posto di rilievo nei miei interessi, più per intuizione che per cultura, poiché avvertivo sempre di più l’importanza del cibo nei processi della salute, del dimagrimento e, più nello specifico, della consapevolezza e del rispetto di se stessi. Erano gli anni delle calorie, delle diete dissociate e di funambolici regimi alimentari “fai da te”: la dieta del fantino, del minestrone, dell’uovo, del limone, della zia Abelarda e, chi più ne ha, più ne metta.
Il mio approccio, fin dall’inizio, era più concentrato sulla responsabilità e sul buon senso, con indicazioni orientate alla varietà e alla naturalità del cibo, per quanto si considerassero “naturali” alimenti della cui incompatibilità oggi si sa molto di più. Del resto stare nella prescrizione dietologica, non solo non era mia competenza, ma nemmeno mia intenzione; sono gli anni in cui comincio a parlare di “imparare a mangiare per la vita”, ma anche quelli nei quali mi rendo conto che c’è ancora molto da conoscere e da capire. All’inizio degli anni duemila è iniziata una rivoluzione: con il contributo di Barry Sears, ideatore della dieta a Zona, si è cominciato a parlare di processi metabolici, di insulina e glucagone, di sindrome metabolica, di infiammazione, ma soprattutto è iniziato un nuovo corso che portava l’attenzione sulla complessità dei fenomeni e dei processi, con l’individuazione di molti meccanismi degenerativi. L’epigenetica – e cioè i fattori ambientali che condizionano l’espressione dei geni – la nuova biologia di Lipton, gli studi epidemiologici su larga scala, hanno aggiunto solo successivamente argomenti ed evidenze in grado di riportarci verso quei fondamentali, verso quell’interazione, che hanno a che vedere, e a che fare, con la nostra costituzione…
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